giovedì 12 luglio 2018

Il quadro nero


Dicevano che era impossibile accendere quella luce, ma io non volevo crederci e così la notte seguente tornai nella stanza blu.
Queste furono le ultime parole di Beniamino prima del suo risveglio.

 ...continua.

lunedì 5 febbraio 2018

Gregorio



Il Sig. Gregorio uscì da casa verso le sette di quella mattina. Il cielo accusava i postumi d'un vento freddo che per tutta la notte l'aveva reso limpido e stellato; ora poche nubi bianche solleticavano un azzurro tiepido e il sole ancora faticava ad imporsi.
Gli autobus erano gialli e una fila ferma in sosta vietata colorava tutta la carreggiata destra costeggiata da un lungo marciapiede grigio.
Il cane della signora Adelaide abbaiava come ogni giorno a quella stessa ora. In lontananza le automobili sulla provinciale rialzata sfrecciavano rumorose lasciando nell'aria un odore di gomma bruciata e pietra.
L'orologio del Sig. Gregorio che per brevità d'ora in poi chiameremo Gregorio segnava le otto meno un quarto. Il suo braccio aveva una pelle come arsa dalle intemperie, secca e pure squamosa ma la si poteva notare soltanto avvicinandosi molto. L'avambraccio sul quale guardava frequentemente l'ora era popolato da pelucchi bianchi che s'arricciavano disordinati sotto la camicia di cotone e quella camicia di cotone era troppo leggera per il clima di quella mattina.
Alle dieci un aereo passò basso sulle strade e il rombo svegliò Malachìa, un bimbo ancora assonnato nel suo lettino di casa.
Gregorio guardò l'ora. Era puntuale. Salì i gradini del Municipio e percorse accaldato il corridoio n.7. Le pareti erano blu chiaro mentre il soffitto regalava ai passanti un bianco crema quasi commestibile se solo si fosse riuscito a raggiungere per assaggiarlo. Ogni sedia era al suo posto e il posto di ogni sedia era ai lati dei corridoi. Lì, queste seggiole con rotelle e schienale morbido, sapevano parlare e per ciascun passante commentavano il modo di camminare, l'abbigliamento e le facce, ma lo dicevano sottovoce come bisbigliando borbottando tra di esse.



Gregorio svoltò al termine della "via" girando a destra. Arrivò al primo piano dopo una rampa di scale in marmo lucido e bussò alla porta rosa. TOCTOC TOCTOCToC Aprì un gentile e alto paio di occhiali che con professionalità fece accomodare il signore sul lettino.
Sì, voi direte: un lettino all'interno di un ufficio? beh, sì; in quella stanza c'era un lettino comodo con le lenzuola bianche e una coperta molto calda sistemata sopra di esse di color marrone. 
Gregorio inizialmente si sedette per poi coricarsi lentamente senza svestirsi.
Uno, due...quattro...sei...trascorsi sette minuti esatti entrò Polby, il Maestro di Fiducia, e si accomodò sulla sedia a fianco del letto.
<Allora Sig. Gregorio, ben tornato. Ho qui i suoi sogni della settimana trascorsa e le posso dire in tutta tranquillità che lei sta migliorando>
<Bene> rispose con un filo di voce Gregorio
<Dobbiamo ritenerci fortunati, caro Signor Gregorio. Una semplice notte insonne e avremmo rovinato tutto!> 
Il Maestro di Fiducia ancora non sappiamo perchè, era solito parlare al plurale anche quando i sogni non erano i suoi e anche quando il paziente non condivideva problemi simili ai suoi. 
<Bene. Allora posso sorridere un po'...adesso?>
<Ma certo! Rida, Rida! Lei deve Ridere Caro Signor Gregorio! ma...adesso basta! smetta di ridere così. Basta! Non rida più di così, basta basta!>
Certo non potete averlo visto, ma immaginato sicuramente. Gregorio iniziò a ridere, a ridere e a ridere; la sua bocca si allargava e rimpiccioliva soltanto per riprendere fiato per poi stirarsi e sorridere e ridere ridere nuovamente senza ritegno. Il suo corpo si alzò felice e uscì salutando il Maestro con falcate da atleta. Scese le scale e corse per il lungo corridoio. Tutte le sedie rimasero sbigottite da tanto clamore e qualcuna si offese per quella attempata maleducazione.

Rosso.
Il semaforo era rosso.
Il nostro Gregorio tratteneva a fatica manciate di risate che comunque sbuffavano fuori come esotici gayser sonori.

AHHAHahah...
...aaHaAHAHaHAH
..ehEHEhEEHEHE...
AhaH!..

Verde.
Il semaforo era verde.
Il nostro Gregorio oltre che ripartire per la via ricominciò a ridere senza scrupoli. In fondo era pur verde il semaforo!

BAuBAU bAHHU


Cani per strada.
Gregorio tornò a casa.
Si tuffò nel bagno e guardandosi allo specchio vide la sua faccia ridente. Osservò le migliaia di rughe provocate dal riso incontrollato. Per l'euforia notò scendere dagli occhi e dalle orecchie lacrime che per anni aveva dimenticato potesse accadere.
Cercò di padroneggiare questa sua nuova situazione comica e decise di guardare vecchie foto dagli album di famiglia. La cosa però, anzichè provocargli malinconia e frenare l'impulso ridanciano, acuì le risate trovando facce buffe in ogni scatto.
"Guarda quello lì!" ahhahahah..."Ma quello è..." uhuuhhuhuhu..."Ma dai! Non è possibile!", pensava e rideva.
Chiuse l'album dei ricordi ridendo a crepapelle.

Ore 16:00
Gregorio era riuscito a cucirsi le labbra con il filo interdentale e s'apprestava ad uscire nuovamente da casa per tornare dal Maestro di Fiducia.
Corridoio - scale - porta -
TOcTOC!
Aprì una banana alta quanto il nostro Gregorio.
<Posso aiutarla?>
Gregorio sfilò in un attimo la cucitura grossolana alla bocca e rispose
<Sì, avrei urgente bisogno del Maestro>
<In questo momento il Dott. Polby non è qui. Può attendere seduto su quella panca.>
Nessuna rivista, nessun vecchio giornale lì su quel piccolo e basso tavolino di vetro.
Gregorio cominciò ad annoiarsi e iniziò a fantasticare con la mente...




Verdi colibrì, a centinaia, a migliaia tutto attorno. L'aria era calda. Un'immensa distesa di sabbia color dell'oro faceva da enorme tappeto alla scena. Din Dinghe Ding Dinghe diN D ...un carro in legno si fermò.
<Ehi voi! Chi siete?>
<Mi chiamo Gregorio. Sto aspettando>
<E cosa aspettate?> domandò l'uomo con la folta barba nera che guidava il carro.
<Aspetto il Maestro, il Maestro di Fiducia>
<Ah! Siete qui per questo. Allora dovrete attendere molto. Il Dottor Polby è partito per una missione assai difficile: il suo cane si è ammalato pochi giorni fa di un male misterioso. Il dottore, con la sua valigia rossa e il suo paio di occhiali, è andato oltre il confine del deserto per cercare Il Rimedio. Secondo il Libro delle sventure il malanno sarebbe un intenso attacco di riso che poco alla volta porterà il cane a perdere le due guance e la mascella. Il cane perderà l'uso della parola e il suo cuore smetterà di battere per sempre. Solo con l'aiuto del Rimedio il povero animale potrà salvarsi. Dunque, come dicevo, dovrete attendere un bel po' prima che torni il Maestro. Sarete in grado di aspettare così a lungo?>
<Aspetterò> rispose assorto Gregorio.
Il carro proseguì lungo il sentiero che forti raffiche di vento viola avevano disegnato sulla sabbia.
Iniziò a piovere. Non era pioggia bagnata. Piovevano ombrelli aperti. Calavano dal cielo delicati come fiocchi di neve ed era un piovere asciutto. Gregorio si guardò attorno e ad ampi passi raggiunse una cascata d'acqua dolce dove riuscì a ripararsi dalla pioggia. I suoi occhi erano diventati di un blu ceruleo e l'ombra che creava l'acqua della cascata sulle pareti di sabbia era illuminata dal suo sguardo. In quella poca luce il suo sguardo luminoso vide un cammello attaccato ad uno scoglio.
<Ma tu sei un cammello?>
<Ti sembro forse un arnese?> rispose il cammello alzando un sopracciglio senza smettere di bere dalla roccia.
<No. Mi sembri proprio un cammello, ma sei molto più piccolo di un cammello! Quanto sei alto?>
<Dieci.> Fu la risposta annoiata e distratta data a Gregorio.
<Dieci che?>
<Ma perdinci! Dieci centimetri! Ti sembro forse alto dieci metri?>
<E perchè te ne stai lì a bere attaccato a quello scoglio sotto una cascata?>
Il cammello non rispose. Sbuffò soltanto. Poi, alzò gli occhi al cielo e riprese a bere a modo suo.
<Dimmi un po'...> Disse il cammello rigenerato dalla bevuta.
<...ma tu che ci fai qui?>
<L'ho già detto all'uomo del carro. Sto aspettando il Maestro. Il Dottor Polby.>
<Ma dimmi un po'...e perchè lo stai aspettando? Che cosa vuoi da lui?>
Gregorio ci pensò su per dieci secondi prima di rispondere e poi disse: 
<Rido! Non mi do pace! Da quando ho saputo dal Maestro di fiducia che i miei sogni erano migliorati ho voluto provare a sorridere un pochino per la notizia. Ho continuato con una bella risata (che non facevo da tanti anni) e una bella risata dopo l'altra proseguì tutto il giorno senza smettere. Insomma, io continuo a ridere anche se non sono allegro, anche se non provo contentezza e gioia. Rido continuamente come un ebete sul ciglio di un dirupo. I miei occhi implorano compassione e la mia bocca senza alcuna pietà deride, schernisce! È un riso amaro, stupido, innocente e ignorante. Ridere così sta logorando la mia mente e ho bisogno dell'aiuto del dottore. Ecco cosa voglio da lui!>

<Mmmm...> fece il cammello pensieroso intento a riflettere sulle parole pronunciate da Gregorio.

Il forte vento spinse via la pioggia asciutta. Gregorio salì i gradini, gradini di una scala di sabbia. Volavano ciabatte di velluto nero tutt'attorno al nostro amico come un vortice, una danza allegra ascendente. Le mani grosse del signore presero al volo una di quelle ciabatte alate e questa, pareva aver un segreto da confessare. Così egli l'avvicinò al suo orecchio: <Io so dove trovare il Dott. Polby> disse la creatura bisbigliando. 
<Dove?> Urlò Gregorio in piena agitazione.
<Devi seguirci. Continua a salire fino a quando troverai un grande prato fiorito. Una volta arrivato cerca il fiore con i petali rossi. Non sarà facile, ti avviso, ma quando avrai trovato Quel fiore tiralo delicatamente verso di te senza strapparlo alla terra. Se sarai stato gentile l'erba sotto i tuoi piedi si aprirà come una simpatica botola e da lì, da quel passaggio segreto potrai raggiungere un'antica strada scorciatoia che ti porterà molto vicino a trovare il Maestro di Fiducia. Scoperta la via giusta percorrila senza esitare evitando di guardare indietro. Adesso! Forza! Presto!>

Gregorio, tutto sudato aveva due occhi grandi pieni di speranza e coraggio.
Salì.

CONTINUA...









mercoledì 11 ottobre 2017

Storie domestiche I



La stanza blu
conduco il gatto al pasto
ricordo l'angolo sinistro
le mie spalle ruotano insieme
giro.
Il cibo rotola
nella ciotola rossa
vedo i miei piedi fermi
e li noto storti.




domenica 20 agosto 2017

Il giro


Passeggiavo attorno a quel palazzo da circa sei ore.


La strada era ruvida del colore grigio di una strada. L'asfalto era tiepido.
UUUUUrrrrrrrrrhhhhhhhhhzzzzzz.....    UUUUURRrrrrrrrhhhhzzzz....
Le sirene della città iniziavano a suonare. Era la fabbrica che produceva occhi di plastica. Ogni giorno alle tre del pomeriggio il segnale. Ogni 3 del pomeriggio gli operai tornavano al lavoro.

Durante la passeggiata i miei piedi calciarono un barattolo di latta vuoto, poi un pezzo di carta sporco e un sasso piccolo. Le anatre mi osservavano dalle finestre dei palazzi nascoste dietro le loro tende di pizzo. Io lo sapevo, sapevo di essere spiato; infatti ero a conoscenza dei tombini neri che celavano gli occhi dei cani randagi affamati e pure dei pali bianchi che mimetizzavano i corvi albini in cerca di cibo. Tutta la città era in cerca di qualcosa. Tutti, tutto, tutto il mondo.
Allungai le mie braccia di caucciù fino al terzo piano dell'edificio che stavo circondando di passi e presi un fiore da un vaso, poi sorrisi al nulla e continuai a camminare.

Quattro sono le 4 del pomeriggio nella fabbrica di occhi di plastica.
Le prime 4 arrivano dopo cinque minuti le 3 mentre le seconde 4 s'insidiano nella mente degli operai verso venti minuti dopo le 3. Ecco quindi che le terze 4 del pomeriggio arrivano trenta minuti dopo le tre e poi davvero finalmente le quarte 4, quelle precise e tanto attese, che arrivano esattamente 60 minuti dopo le 3.
Alle quattro tonde ogni lavoratore usciva dallo stabilimento e veniva sostituito immediatamente da un altro che prendeva il suo posto e così via ad ogni ora. La faccenda era seria: si trattava di far bollire sedie verdi da giardino in pentoloni giganteschi; una volta pronte, le sedie venivano trasportate a mano nel reparto forme dove l'operaio, con uno strano attrezzo simile a quello per formare le palline di gelato dalle vaschette, "snocciolava" morbide e calde sfere di plastica che una volta raffreddate erano pronte a diventare occhi. Occhi per bambole, occhi per gatti, occhi per occhi senza vista etc.

Mi trovavo per la sedicesima volta al terzo angolo dell'edificio (definito terzo calcolando il primo lato come mia partenza, ma questo è un indizio senza utilità per il lettore). Dicevo, mi trovavo al terzo angolo dell'edificio per la quindicesima volta più una e vidi una bellissima nave affacciarsi all'orizzonte davanti ad un tramonto caldo. La silhouette della grande imbarcazione passò veloce color del cioccolato davanti ai miei pensieri e ne interruppe davvero tanti. Feci altri sei passi e già parlavo con me.
Tutti, tutto, tutto il mondo cercava il suo tesoro. Così ritornai con la mente a quella rapida visione profumata. Ricordavo alcune leggende riguardanti quel "battello" e ognuna di esse portava a sognare: dai cuccioli di uomo, i piccoli di coso ai grandi filibusti e adulti rami.








mercoledì 14 giugno 2017

Rodolàttea



La cucina di Elisabetta aveva due occhi rosa e si chiamava Rodolàttea.
Con il passare delle stagioni i suoi capelli si stavano sfoltendo e l'abitudine di mangiarsi le braccia ancora non l'era andata via.




Ogni venerdì alla stessa ora sentiva suonare il campanello di casa, sempre alle dieci di mattina. Rodolàttea dalle sue finestre pulite riusciva a malapena a scorgere il grande vaso nel piccolo giardino e figurarsi vedere chi c'era davanti alla porta!




Ogni venerdì una formica rossa passava davanti al frigorifero della cucina e saliva fin sopra ai fornelli; si preparava un'omelette con tanto burro. Poi, dopo quello spuntino spegneva il fuoco, lavava la padella e tornava lenta e sazia da dove era venuta.



Rodolàttea vedeva tante cose bizzarre accadere davanti ai suoi occhioni rosa.
Un pomeriggio di sole il tavolo cadde a terra e si ruppe una gamba. La cucina restò in apprensione senza poter far nulla fuorchè osservare preoccupata la scena. Vide arrivare molta gente a soccorrere e portar via Tibaldo, il tavolo spavaldo. Quel giorno. ricorda di aver contato ben otto figure entrare e uscire da lì: un signore blu, un gatto grigio e bianco, la sua amica Elisabetta, un cucchiaio in cerca del cassetto nel tavolo che non c'era più, un mostro, due luci e un sogno di qualche anno fa.



Rodolàttea era golosa di amarena. Sapeva che con l'arrivo dell'estate in quella casa si mangiavano tante amarene sulla panna e per lei quelli erano momenti di festa.
I gufi scuri, le lune piene, i lupi che volavano al vento... di tutto ciò la cucina non ebbe paura mai in tutta la sua esistenza, ma soltanto una cosa le faceva battere i piatti dalla fifa: le tovaglie sporche!
Sì, avete capito bene, le tovaglie sporche! Queste disgraziate lenzuola quadrate (così le chiamava Rodolàttea) erano davvero delle insaziabili monelle.



Durante le nottate più buie di un pozzo buio, le tovaglie sporche spesso uscivano dalla loro cesta puzzolente e correvano per tutta la casa urlando parolacce in tovagliese fino alla mattina.
Ecco, Rodolàttea aveva paura di questo e di null'altro.




venerdì 14 aprile 2017

La Grotta Fiammaccesa


Nella Grotta Fiammaccesa vive un sasso di nome Doro. I suoi occhi vedono il mondo attraverso un paio di lenti molto spesse di color verde. La sua pazienza diminuisce quando entra la gallina Tea che saltellando nel buio cerca diamanti rosa.


Nella Grotta Fiammaccesa c'è una bicicletta, si chiama Pinka e i raggi delle sue due ruote sono sottili e mollicci vermicelli curiosi.
Il cosacco Dietro riposa pochi metri dal sasso Doro accanto ad un divano rotto che non smette di cantare la stessa canzone da una settimana. Il cosacco fuma il suo sigaro giallo dall'orbita dell'occhio sinistro che ahinoi perdette in mare combattendo contro un salvagente; con baffoni morbidi Dietro è completamente verde a causa di un brutto raffreddore che contrasse nella Foresta delle Foglie Pesanti e da quel tempo non tornò più come prima.


Dimenticavo di ricordarvi che il cosacco è innamorato del sasso Doro, ma quest'ultimo, portando giorno e notte le sue lenti verdi non può vedere nè notare il povero Dietro che mesto vive la sua esistenza in cerca di un perchè.
In questo sempre più affollato luogo c'è Brava, una collana di perle simpatiche, che attende da anni l'arrivo del suo sposo. Brava coltiva la terra scura e sabbiosa all'interno della grotta; ama seminare braccialetti e orecchini di pane che piacciono tanto alla dolce bicicletta Pinka.


I Fulmini Celesti completano il gruppo all'interno di Fiammaccesa. Queste folgori splendenti si nutrono di muffa; vivono attaccate alle pareti umide rischiarando saltuariamente l'intera grotta e i suoi abitanti.


venerdì 31 marzo 2017

La scala mobile


Ettore decise di spostare la scala mobile e quando Ettore decide di fare qualcosa quel qualcosa lo fa molto bene.

Il centro commerciale Dondoliamo è situato nella via principale della città; al suo ingresso troviamo una porta in vetro altissima, alta quasi quanto una porta altissima. Superandola ci si imbatte in un turbolento formicaio di esseri umani, di gabbiani, di gnomi, di pezzi di cioccolata e pattini a rotelle che entrano ed escono senza una meta stabilita. Se alziamo gli occhi da terra verso il soffitto percorriamo con lo sguardo l'intera Grande Scala Mobile Nera che s'innalza fiera e maestosa al centro del piano terra; che maestria dell'ingegno! Eccellenza del mondo delle scale!
Tutti gli uccelli le volano intorno come fosse una torre magica; gli gnomi, ormai adattati alla vita di città, la scalano mattina e sera trasportando sacchi di caramelle e buste di taccuini rosa da rivendere ai negozi del piano superiore. I pezzi di cioccolata osservano la scala con occhi dolci per tutto il giorno e il loro profumo crea delle fantastiche nuvole viola che circondano la vetta come un vero spettacolo per i visitatori mentre i pattini a rotelle scivolano e scorrono senza riposo per il centro commerciale. Ah sì, dimenticavo! Poi ci sono gli esseri umani, gente stramba e sbadata. Entrano ed escono, escono e rientrano, e ancora escono senza entrare ed entrano senza sapere. Come dicevo... gente sghemba.



Ettore è un tombino. Come chi è Ettore? Ettore decise di spostare la scala mobile!
Bene!
Ettore è un tombino. Vive proprio sotto il primo gradino. Ogni giorno la sua schiena tenace sopporta il peso di tanti piedi che salgono e scendono; è avvezzo al profumo della cioccolata e tutta la sua casa sottostante ne è satura. Mentre lavora ama inventare melodie che canta da sottofondo al garrire dei gabbiani. Il mestiere di tombino è un qualcosa di molto faticoso, ma Ettore lo fa con grande passione.



Un venerdì.
Era quasi l'ora del pranzo e gli gnomi stavano per andare in pausa. La Grande Scala Mobile era come sempre al centro della situazione quando ad un tratto...
... EEtCiùù! EEE..EEETCIÚ! EEETCIÚÚ!
Tre starnuti potenti fecero sobbalzare assai il primo gradino e come per un effetto domino saltarono tutti gli scalini a seguire. Le pareti della scala, non avendo più salde le fondamenta, oscillarono verso l'esterno (inclinandosi quasi a sfiorare i passanti) per poi tornare tutte sudate e sbalordite al loro posto.
Mai un episodio così era capitato al Dondoliamo. Mai nella sua vita un raffreddore così forte ammalò il nostro Ettore!
I gabbiani persero l'orientamento, gli gnomi caddero e rotolarono giù spargendo tutte le caramelle in giro e buttando all'aria un sacco di foglietti rosa mentre i pezzi di cioccolata intanto si scioglievano per lo spavento creando una moltitudine di incidenti fra i pattini a rotelle. Che disastro!



Ettore allora si scostò da sotto la Grande Scala Mobile Nera e terminò la forte scarica di starnuti, poi si tolse la maglietta e con la forza di cento tombini e sette lucchetti spinse forte quella altissima gradinata fino a spostarla.
- Ecco!, disse il raffreddato. - Così non avrete più problemi, aggiunse.

Il mattino dopo Dondoliamo riaprì al pubblico come se nulla fosse successo, ma qualcosa era effettivamente cambiato: la Grande Scala Mobile ora si trovava decentrata. Il suo posto d'origine era novanta centimetri più a destra e l'ingresso del super magazzino perse tutto il suo fascino e l'intero ambiente la sua armonia.



Nessuno vide ancora gli gnomi, nessuno vide più i gabbiani; nessuno sentì da allora quel profumo di cioccolata e nessuno scorse nuovamente i pattini a rotelle schizzare di qua e di là. Soltanto gli esseri umani continuarono a frequentare quel posto entrando e uscendo, uscendo e rientrando, e ancora uscendo senza entrare ed entrando senza sapere e neppure vedere.